lunedì 24 luglio 2017

«Ha scelto i rubli anziché i dollari», dagli USA all'URSS

Dale Mulholland, come gli aficionados del nostro piccolo "Calcio e Martello" ormai sanno a menadito, è stato un calciatore statunitense in forza agli Orlando Lions che, prima del crollo dell'URSS, andò a giocare con la Lokomotiv Mosca. Il quotidiano La Repubblica del 4 marzo 1990 scriveva così: «Anche il calcio dà il suo piccolo contributo alla distensione tra Usa e Urss. Un calciatore statunitense, Dale Mulholland, ha firmato un contratto con una squadra sovietica. Ha scelto i rubli anziché i dollari [...] Non parla il russo, ma ha detto che prenderà lezioni non appena arriverà a Mosca. Non si sa quanto guadagnerà».
Mulholland aveva più volte cercato un contatto con la controparte socialista ma prima per il rifiuto degli stessi americani, poi per quello del Goskomsport non si era riusciti a trovare un accordo accettabile fra le parti. L'idea dello scambio vene soltanto in seguito, dopo svariate pressioni di Mulholland, come riporta il New York Times dell'epoca: «Mulholland, who played for the University of Puget Sound before turning pro, said he had spent four years prodding American and Soviet officials to make his dream come true». Tradotto: Mulholland, che ha giocato per l'Università di Puget Sound prima di diventare professionista, ha dichiarato di aver trascorso gli ultimi 4 anni incoraggiando i funzionari americani e sovietici per far sì che il suo sogno divenisse realtà».

Dale Mulholland con la Lokomotiv Mosca. La capigliatura sovietica anni '80 c'era tutta.
Ovvero, Mulholland voleva (grassetto, corsivo e sottolineato) andare a giocare nel massimo campionato sovietico: «La Russia per me rappresenta la storia, una cultura che stiamo cercando di scoprire, l' architettura, il balletto», aveva dichiarato il nostro, venendo anche ripreso da Repubblica
Ma se La Repubblica parlava di un altro passo verso la distensione tra gli Stati, il NYT lo stesso giorno del sopra citato articolo del quotidiano italiano, dedicava un misero francobollo al passaggio del giocatore di Tacoma al campionato socialista. La sua presenza fu, dobbiamo dirlo, quasi evanescente: dieci presenze e un gol, prima che tutto crollò. Tutto, ovvero, l'Unione Sovietica.
Le Repubbliche Socialiste caddero senza che fu sparso sangue e che venisse sparato un colpo, questa è la retorica più (ab)usata dagli storici. Ma di questo, a Dale Mulholland, non importò molto: rimase in Russia. 
Ora, è allenatore in Indonesia.

(marco piccinelli)

venerdì 7 luglio 2017

Da Breitner a Sollier, quando fare un gol era «rivoluzionario»

di Vanni Buttasi, tratto dalla Gazzetta di Parma di giovedì 6 luglio 2017

Il socialismo reale, il Patto di Varsavia, il Comecon, la guerra fredda, i regimi che controllano tutto e tutti. 
Anche il calcio. 
Lo sport più popolare, anche oltre cortina. Dove le squadre erano la «lunga mano» di chi comandava. E, dove nulla, veniva fatto per caso.
«Calcio e martello» di Fabio Belli e Marco Piccinelli (editore Rogas), con un significativo sottotitolo “Storie e uomini del calcio socialista”, racconta un mondo che non esiste più. Sparito con il crollo delle ideologie e del muro di Berlino. Ma che resiste nei ricordi di chi ha vissuto quelle stagioni calcistiche ricche di campioni e di storie da raccontare ai nipoti. Un mondo svanito nel nulla ma, non per questo, da relegare nell'oblio. Non si possono dimenticare, sarebbe un affronto al calcio, campioni come Lev Yashin, colonna dell'Urss e unico portiere a vincere il Pallone d'oro, o Robert Gadocha, il Garincha polacco che diede spettacolo con Lato e Deyna ai mondiali del 1974 in Germania: ne sa qualcosa l'Italia di Valcareggi. O l'Ungheria di Ferenc Puskas che fece divertire con il suo gioco spettacolare ma perde un mondiale, quello del 1954, in modo incredibile. Le storie sono tante ma su tutte spicca quella dell'attaccante tedesco (dell'Est) Jurgen Sparwasser: fu lui che realizzò il gol della storica vittoria, sempre ai mondiali del 1974, della Rdt (Germania Est) contro i cugini della Rfg (Germania Ovest), che poi vinsero il titolo sconfiggendo in finale l'Olanda. «Stavolta - si legge nel libro - era davvero il comunismo ad avere sconfitto il capitalismo».



Ma, in quegli anni, il calcio era anche contestazione: anche nel football spuntano gli eredi del '68. Così scopriamo le storie di Paolo Sollier, centrocampista dai piedi buoni del Perugia con una ventina di presenze in serie A e sempre pronto a dimostrare le sue simpatie di sinistra; il tedesco occidentale Paul Breitner, un titolo mondiale nel 1974 (quell'anno ritorna spesso nel libro di Belli e Piccinelli) e un gol nella finale persa con l'Italia a Spagna '82 ma soprattutto maoista, capace (però) di rinunciare alla barba da rivoluzionario per fare pubblicità ad un aftershave; infine la Democracia Corinthiana, l'unico caso al mondo di una squadra gestita dai calciatori.

Il ricordo degli anni '70 ci porta anche a parlare del Cesena che, nella stagione 1975-'76, partecipò alla Coppa Uefa e di quella sfida con il Magdeburgo, squadra della Germania Est in cui militava Sparwasser (è sempre lui il protagonista). A parlare di quella sfida è proprio Giancarlo Oddi, difensore romagnolo votato alla marcatura dello scomodo attaccante tedesco. Una partita ricca di episodi dubbi che lo stesso Oddi ricorda ancora con una certa amarezza.
«Calcio e martello» certamente non è un libro didascalico, con tabellini e cronache delle partite: è un libro di sentimenti che racconta un'epoca, ormai finita nella Storia, che consente al lettore di capire quanto fosse importante lo sport, e il calcio in particolare, nei Paesi a regime socialista. 
Era un modo per riscattare la propria condizione sociale ma, soprattutto, per mandare al tappeto l'Occidente dalle idee liberali.
E, proprio in questo caso, l'importanza del risultato era vitale: la vittoria, infatti, era il segno distintivo
che il socialismo reale poteva trionfare.